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Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. I, 1975 – BEIC 1869702.djvu/216

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214 la novelletta


55.Ma più d’ogni altro il Re meschin piangendo
sfortunato s’appella ed infelice,
e gli estremi da lei baci cogliendo
la torna ad abbracciar, mentre gli lice.
«Così dunque da te congedo io prendo?
Così figlia mi lasci?» egli le dice.
«Son questi i fregi? (oimè) la pompa è questa,
ch’al tuo partire il patrio regno appresta?

56.In essequie funebri inique stelle
cangian le nozze tue liete e festanti?
le chiare tede in torbide facelle?
le tibie in squille, e l’allegrezze in pianti?
Sono i crotali tuoi roche tabelle?
Ti son gl’inni e le preci applausi e canti?
E là dove destin crudo ti mena
reggia il lido ti fia, letto l’arena?

57.Oh troppo a te contrario, a me nemico,
implacabil rigor d’avari Cieli!
Te del tuo bel, me del mio ben mendico
perché denno lasciar fati crudeli?
Qual tua gran colpa, o qual mio fallo antico,
cagion che tu t’affligga, io mi quereli,
te condanna a morire, ed a me serba
in sì matura età doglia sì acerba?

58.Ad esseguir quanto lassù si vole
dura necessità (lasso) m’affretta,
e vie più ch’altro, mi tormenta e dole
ch’a si malvagio sposo io ti commetta.
Ch’io deggia in preda dar l’amata prole
a mostro tal, che l’Universo infetta,
questo so ben, che ’l fil farà più corto
che fu da Cloto a la mia vita attorto.