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canto quarto 213


51.Pensa tu qual rimase, e qual divenne
il sovr’ogni altro addolorato Vecchio.
Pensa qual ebbe il cor, quando gli venne
la sentenza terribile a l’orecchio.
Torna ne’ patrii tetti a far sollenne
di quelle pompe il tragico apparecchio,
accinto ad ubbidir, quantunque afflitto,
del decreto d’Apollo al sacro editto.

52.Del vaticinio infausto e de l’aversa
sorte nemica si lamenta e lagna,
e con l’amare lagrime che versa,
de le rughe senili i solchi bagna;
e la stella accusando empia e perversa
l’antica moglie i gemiti accompagna,
e pietoso non men piagne con loro
de le figlie dolenti il flebil coro.

53.Ma del maligno inevitabil fato
il tenor vïolento è già maturo.
De l’influsso crudel già minacciato
giunto è l’Idol mio caro al passo duro.
Raccoglie già con querulo ululato
la bella Psiche un cadaletto oscuro,
la qual non sa fra tanti orrendi oggetti
se ’l talamo o se ’l tumulo l’aspetti.

54.Di velo avolti tenebroso e tetro,
e d’arnesi lugubri in vesta nera
van padre e madre il nuzzïal feretro
accompagnando, e le sorelle in schiera.
Segue la bara il parentado, e dietro
vien la Città, vien la Provincia intera,
e per tale sciagura odesi intanto
del popol tutto un publico compianto.