Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. I, 1975 – BEIC 1869702.djvu/224

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222 la novelletta


87.I’ non so già se Zefiro cortese
fu, che spettacol dolce allor m’offerse,
che la tremula vesta alto sospese
e de le glorie mie parte m’aperse.
So ben, che con sua neve il cor m’accese
quando il confin del bianco piè scoverse.
Scoverse il piede, e de l’ignuda carne
quanto a casta beltà lice mostrarne.

88.Poi ch’assai travagliato, e poco queto
in più pezzi ha carpito un sonno corto,
destasi, e da quel loco ameno e lieto
piover si sente al cor novo conforto.
Sorge da l’odorifero roseto,
e qua ne vien, dove ’l mio albergo ha scorto.
Questo istesso Palagio, ov’ora sei,
come raccoglie te, raccolse lei.

89.Nel limitar de la gemmata soglia
mette le piante, e va mirando intorno.
Mira il bel muro, e di pomposa spoglia
di fulgid’oro il travamento adorno
sì che può far (quantunque il Sol non voglia)
col proprio lume a se medesmo il giorno.
Mira gli archi, le statue, e l’altre cose,
che senza prezzo alcun son prezïose.

90.Senza punto inchinar le luci al basso
del tetto ammira le mirabil opre,
ma pur del tetto il rilucente sasso
la superbia del suol chiara le scopre.
Stupisce il guardo, e si trattiene il passo
al bel lavor che ’l pavimento copre:
perché tante ricchezze in terra vede
che di calcarle si vergogna il piede.