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Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. I, 1975 – BEIC 1869702.djvu/238

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236 la novelletta


143.Perché con tanta industria e secretezza
credi la propria effigie ei tenga ascosa,
se non perché sua natural bruttezza
agli occhi tuoi manifestar non osa?
Ma se ben or t’adula e t’accarezza
sotto quel dolce titolo di sposa,
pensi però, che la sua cruda rabbia
lungo tempo digiuna a tener abbia?

144.Aspetta pur, che del tuo ventre cresca
(come già va crescendo) il peso in tutto.
Lascia che venga con più stabil ésca
di tua pregnanza a maturarsi il frutto.
Allor vedrai (sii certa) ove rïesca
il sozzo amor d’un animal sì brutto!
Allor fia (chi nol sa?) che fuor d’inganni
(preda a suo modo opima) ei ti tracanni.

145.S’a noi non credi (ed oh queste parole
sparse sien pur al vento, e non al vero!)
credi a quel, che mentir né può, né suole,
de l’oracol Febeo presagio fiero.
Il presagio in oblio por non si vuole,
ch’imaginandol pur trema il pensiero,
ch’esser ti convenia moglie d’un Angue,
morte e strage del mondo, e foco e sangue.

146.Che farai dunque? o col tuo scampo a noi
consentirai d’ogni sospetto sciolta,
o tanto attenderai, che tu sia poi
ne le ferine viscere sepolta?
Se ’n tal guisa nutrir più tosto vuoi
(non so s’io dica o pertinace o stolta)
l’empia ingordigia de l’osceno Mostro,
adempito abbiam noi l’ufficio nostro: