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Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. I, 1975 – BEIC 1869702.djvu/242

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240 la novelletta


159.De le pria care, e poscia odiate piume
viensi accostando invèr la sponda manca.
Ne la destra ha il coltel, ne l’altra il lume,
d’orrore agghiaccia, e di paura imbianca.
Ma per farle esseguir quanto presume,
sdegno il suo debil animo rinfranca,
e la forza del fato a l’atto fiero
arma d’audacia il feminil pensiero.

160.Fa l’ascolta per tutto, e ’n su la porta
de la stanza si ferma, e guata pria.
Sporge innanzi la mano, e la fa scorta
al piè, che lento al talamo s’invia.
Tende l’orecchie, e sovr’aviso accorta
ogni strepito e moto osserva e spia.
Sospende alto le piante, e poi leggiere
le posa in terra, e non l’appoggia intere.

161.Quando là dov’io poso è giunta appresso,
voce non forma, accento non esprime:
di tirar non s’arrischia il fiato istesso,
e se spunta un sospir, tosto il reprime.
Caldo desio rinvigorisce il sesso,
freddo timor le calde voglie opprime.
Brama e s’arretra, ardisce e si ritiene,
bollon gli spirti, e gelano le vene.

162.Ma non sì tosto il curïoso raggio
del lume esplorator venne a mostrarse,
dal cui chiaro splendor del cortinaggio
ogni latebra illuminata apparse,
che sbigottita de l’ingiusto oltraggio
stupì repente, e di vergogna n’arse.
Non sa s’è sogno o ver, che quando crede
veder un Drago, un Garzonetto vede.