Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. I, 1975 – BEIC 1869702.djvu/250

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248 la novelletta


191.Disse, e fuor del suo albergo a l’altra riva
soffiar mi fe’ dal Portator volante.
Va’ dunque, occupa il loco ond’io son priva,
godi quel ch’io perdei, celeste amante.
A me, che più non spero in fin ch’io viva
romper la stella mia dura e costante,
chieder convien tributo a tutte l’ore
di pianto agli occhi, e di sospiri al core».

192.A pena ella ha di dir fornito questo
che quell’invida Arpia le piante affretta,
e giunta in su ’l fatal monte funesto,
dov’andar suole il Vento, il Vento aspetta.
«Vienne Zefiro vien’ veloce e presto,
Angel di Primavera, amica Auretta,
vienne,» dicea «tu condottier, tu scorta
preda ben degna al mio Signor mi porta».

193.Sente allora spirar di su la cima
de l’alta costa un ventolin sottile,
onde fuor d’ogni dubbio attende e stima
ch’a lei ne vegna il Precursor d’Aprile.
Scagliasi a piombo, e gravemente a l’ima
parte del poggio il corpo immondo e vile
rüinoso trabocca, e tra que’ sassi,
misera, in cento pezzi a franger vassi.

194.Con l’arte istessa ancor poco dapoi
ingannò l’altra giovane meschina,
che pur fede prestando a’ detti suoi,
salse anelante in su la rupe alpina,
e similmente imaginar ben puoi
se dal monte balzando a la marina
lasciò, condegno premio a le sue colpe,
lacerate le viscere e le polpe.