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canto quarto 259


235.L’una a casa ritorna, e l’altro piomba
veloce in terra a promulgar l’editto.
«Qualsivoglia mortale» a suon di tromba
publicato per lui dice lo scritto
«Psiche degna di carcere e di tomba,
rubella e rea di capital delitto,
fia ch’a Venere bella accusi e scopra,
ricompensa ben degna avrà de l’opra.

236.Venga là tra le piagge a lei dilette,
dove il Tempio de’ mirti erge Quirino,
ché da la Dea benigna avrà di sette
baci soavi un guiderdon divino;
e più dolce fra gli altri un ne promette
in cui lingueggi il tenero rubino,
in cui labro con labro il dente stringa
e di nèttare e mèl si bagni e tinga».

237.Questo grido tra’ popoli diffuso
alletta tutti a la mercé proposta,
onde non trova alcun loco sì chiuso
che non v’entri a spiar se v’è nascosta.
Ella con piè smarrito e cor confuso
già de la Diva a la magion s’accosta,
da le cui porte incontr’a lei s’avanza
una ministra sua, ch’è detta Usanza.

238.«Pur ne venisti» ad alta voce esclama
«schiava sfacciata, ove il castigo è certo!
O non t’è forse ancor giunta la fama
di quanto in te cercando abbiam sofferto?
Giungi a tempo a pagarlo, e già ti chiama
giustissimo supplicio al proprio merto.
Tra le fauci de l’Orco alfin pur désti,
perché l’orgoglio tuo punito resti!»