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Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. I, 1975 – BEIC 1869702.djvu/268

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266 la novelletta


263.Dopo questo parlar la fronte crolla
intorbidando de’ begli occhi il raggio,
né ben di perseguirla ancor satolla,
par la minacci di più grave oltraggio.
Presa da lei la cristallina ampolla
Psiche al gran monte accelera il vïaggio,
sperando pur, ch’a tante sue ruine
un mortal precipizio imponga fine.

264.Ma come arriva a le radici prime
del poggio altier, che volge al Sol la schiena,
vede l’erta sì aspra, e sì sublime,
che volarvi gli augei possono a pena.
Inaccessi recessi, aguzze cime,
dove non tuona mai, né mai balena,
poi ch’al verno maggior le nubi e ’l gelo
gli fan dal mezo in giù corona e velo.

263.Lubrico è il sasso, e da le fauci aperte
vomita il fiume oscuro in viva cote,
che per latebre tortuose incerte,
e per caverne concave ed ignote
serpe, e tra pietre rotto ispide ed erte
con rauchi bombi i margini percote.
Caduto stagna, e si diffonde in laghi,
dove fischiano intorno orridi Draghi.

266.Raccoglie la vallea de l’acqua Stigia
tutta la piena nel suo ventre interno.
Riga l’onda il terren pallida e bigia,
orribil sì, che poco è più l’Inferno.
Quivi raro uman piè segnò vestigia,
né la visita mai raggio superno;
anzi le nevi in su ’l bollir de l’anno
a dispetto del Sol sempre vi stanno.