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Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. I, 1975 – BEIC 1869702.djvu/269

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canto quarto 267


267.Quel fiume (ancor che crudo) ebbe pietate
di veder spenti sì sereni rai,
e parea dir con l’onde innamorate
«Fuggi, mira ove sei, guarda che fai!
Deh non lasciar perir tanta beltate,
torna tórnati indietro, ove ne vai?
È follia più che senno, e più che sorte,
senza riscossa alcuna esporsi a morte».

268.Psiche presso la foce, onde deriva
il torrente infernal, di sasso muto
resta quasi cangiata in statua viva,
quel giogo insuperabile veduto:
sì d’ogni moto, e d’ogni senso priva,
che ’l conforto del pianto anco ha perduto.
Ma qual cosa mortale è che non scerna
il tuo grand’occhio, o Providenza eterna?

269.Spiegò l’Augel real dal Ciel le penne,
forse ingrato al mio Nume esser non volse,
ché de l’antico ossequio gli sovenne,
quando il Frigio Coppier tra l’unghie accolse.
Questi rapidamente a lei ne venne,
e ’n sì fatto parlar la lingua sciolse:
«Spera dunque, o malcauta, il tuo desio
stilla attigner già mai di questo rio?

270.Fatale è il rio che vedi, e son quest’acque
a Giove istesso orribili e temute,
e i giuramenti suoi fermar gli piacque
invïolabilmente in lor virtute.
Ma dammi pur cotesto vetro». E tacque,
e preso il vaso entro le grinfe acute,
volando sovra l’apice del monte,
l’empiè de l’onda del Tartareo fonte.