Vai al contenuto

Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. I, 1975 – BEIC 1869702.djvu/270

Da Wikisource.
268 la novelletta


271.Ciò fatto, la guastada in man le porge,
e torna al Ciel per via spedita e corta.
Psiche, che del licor colma la scorge,
volentier la riprende, e la riporta;
e fra tante sciagure in lei risorge
speme, che la rinfranca, e la conforta:
c’ha sotto ignudo petto armato core,
forte, se non di ferro, almen d’amore.

272.Chi può dir ciò che disse, e ciò che feo
la Diva allor di Pafo e d’Amathunta?
Non freme sì dal Cacciator Rifeo
barbara Tigre saëttata e punta,
o dagli Austri sferzato il vasto Egeo,
come mormora e sbuffa a la sua giunta.
Non sa come sfogar l’astio crudele,
e le si gonfia di gran rabbia il fiele.

273.«Ben ti mostri» dicea «com’esser devi,
di malizie maestra, e di malie,
poi che sapesti in tante imprese grevi
sì ben tutte adempir le voglie mie.
Far certo un tal miracolo potevi
sol per arte d’incanti e di magie:
ma cosa non minor forse di questa,
bella mia pargoletta, ancor ti resta.

274.Prendi questo vasel ch’io t’appresento,
discendi a Dite, e sùbito ritorna,
là dove a comandar pena e tormento
la Reina de l’Herebo soggiorna.
Di’ che mi mandi del suo fino unguento,
che la pelle ammollisce e ’l viso adorna.
Ma convienti spacciar tosto la via,
perch’al pasto di Giove a tempo io sia».