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Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. I, 1975 – BEIC 1869702.djvu/271

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canto quarto 269


275.Psiche senza far motto, a terra fissi
tien que’ bei lumi ond’io sospiro e gemo,
ché ben s’accorge, andando invèr gli Abissi,
d’esser mandata a l’infortunio estremo.
Pensa qual mi fess’io, qual mi sentissi,
quando solo in narrarlo ancor ne tremo!
Vederla astretta allor col proprio piede
a girne in parte, ond’uom già mai non riede.

276.Poco oltre va, che trova eccelsa rocca,
e là rivolge desperata i passi,
perché pensa tra sé, s’indi trabocca,
poter girne in tal guisa ai regni bassi.
La Torre (oh meraviglia) apre la bocca,
e discioglie la lingua ai muti sassi.
Che non potrà chi poté ’l cor piagarmi,
se può dar senso agl’insensati marmi?

277.Lascio di raccontar con qual consiglio
scese d’Abisso a le profonde conche,
con quai tributi senz’alcun periglio
passò di Pluto a l’intime spelonche,
e de’ mostri d’Averno al fiero artiglio
le forze tutte rintuzzate e tronche,
per via che ’ndietro mai non riconduce,
ritornò salva a riveder la luce.

278.E taccio come poi le venne audace
di quel belletto d’Hecate desio,
indi il pensier le rïuscì fallace,
ché ’l Sonno fuor del bossoletto uscio;
onde d’atra caligine tenace
le velò gli occhi un repentino oblio,
e da grave letargo oppressa e vinta
cadde immobile a terra, e quasi estinta.