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Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. I, 1975 – BEIC 1869702.djvu/272

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270 la novelletta


279.Io sano già de la ferita, e molto
da sì lunga prigion stancato omai,
per un picciol balcon libero e sciolto
fuor de la chiusa camera volai;
e vago pur di riveder quel volto
bramato, amato, e sospirato assai,
parvi battendo le veloci piante
stella cadente, o folgore volante.

280.Là dove senza mente e senza moto
giace mi calo, ed a’ begli occhi volo;
ne tergo il Sonno, e ne l’avorio vòto
di novo il chiudo, e ben n’ha sdegno e duolo!
Con l’aurea punta de lo stral la scuoto,
pria la riprendo, e poi la riconsolo.
Tal che con lieta speme al cor concetta
porta il dono infernale a chi l’aspetta.

281.Giunse le palme umile in atto, e fuori
tai note espresse: «Andai sotterra, e venni,
eccomi fuor de’ sempiterni orrori,
e ’l licor di Proserpina n’ottenni.
Impommi pur difficoltà maggiori,
nulla ricuserò di quanto accenni;
ch’una devota affezzïon tutt’osa,
e fa potere ogn’impossibil cosa.

282.Ma non fia mai quel dì, lassa, ch’io speri
picciola requie a la penosa vita?
quando vedrò di quei begli occhi alteri,
ch’innamorano il Ciel, l’ira addolcita?
Se fermo è pur, ch’io fra tant’odii fieri
d’ogni calamità sia calamita,
fa’ di tua man che ’l fiato, ond’oggi io spiro,
sia de la morte il precursor sospiro.