Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. I, 1975 – BEIC 1869702.djvu/384

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23.E le sovien, mentre dispiega l’ale,
de la leggiadra sua prima sembianza;
e tra que’ fior, da cui nacque il suo male,
ancor di diportarsi ha per usanza.
Ed or di chi cangiolla in forma tale
rinova piú la misera membranza
veggendo in compagnia del caro Adone
la bella Dea del suo dolor cagione.

24.La qual rivolta allora agli arboscelli,
— Odi — gli dice — odi con quanti e quali
motti amorosi, o fior di tutti i belli,
spiegano i piú sublimi il canto e Tali:
Amor, ch’alato è pur come gli augelli,
fa che senta ogni augel gli aurati strali.
Il tutto vince alfin questo Tiranno! —
E qui tacendo, ad ascoltar si stanno.

25.Per far distinto al vago stuol che vola
con lingua umana articolar sermone,
maestro qui non si richiede o scola,
qual trovò poi la vanitá d’Annone:
ogni semplice accento era parola,
che parlando di Venere e d’Adone,
in spedita favella alto dicea;
«Ecco con l’Idol suo la nostra Dea».

26.Chiusa tra’ rami d’una quercia antica,
di sua verde magion solinga cella,
la Monichetta de’ Pastori amica
seco invita a cantar la Rondinella.
Orfano tronco in secca piaggia aprica
d’olmo tocco dal Ciel la Tortorella
non cerca no, ma sovra verde pianta
solitaria, non sola, e vive e canta.