Vai al contenuto

Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. I, 1975 – BEIC 1869702.djvu/413

Da Wikisource.


139.Chi de l’obliquo corno a gonfie gote
fa buccinar la rauca voce al cielo.
Chi per sottrarla al Sol che la percote
le stende intorno al crin serico velo.
Chi volteggiando con lascive rote
le regge innanzi adamantino gelo,
e perché solo in sua beltá s’appaghi,
ne fa lucido specchio agli occhi vaghi.

140.Né di scherzar anch’elle in fra costoro
del gran Padre Nereo lascian le figlie,
ch’accolte in lieto e sollazzevol coro
cantano a suon di pettini e cocchiglie;
e porgendo le van succino ed oro,
candide perle, e porpore vermiglie.
Sí fatto stuol per l’umida campagna
la riceve, la guida, e l’accompagna.

141.Ne l’altro vaso, del suo figlio Amore
il nascimento effigiato splende.
Giá la vedi languir, mentre che l’ore
vicine omai del dolce parto attende,
ne la bella stagion, quand’entra in fiore
la terra, e novell’abito riprende.
Par che l’Alba oltre l’uso apra giocondo
il primo dí del piú bel mese al mondo.

142.Sovra molli origlieri e verdi seggi
la bella Dea per partorir si posa.
Par che rida la riva, e che rosseggi
presso il musco fiorito Indica rosa.
Par che l’onda di Cipro a pena ondeggi,
danzano i pesci in su la sponda erbosa.
Con pacifiche arene ed acque chiare
par senza flutto e senza moto il mare.