Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. I, 1975 – BEIC 1869702.djvu/414

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143.Per non farsi importuni i Zefiretti
a quelle dolcemente amare doglie,
stansi a dormir, quasi in purpurei letti,
de’ vicini roseti in fra le foglie.
Colgon l’aure lascive odori eletti
per irrigar le rugiadose spoglie,
spoglie bagnate di celeste sangue,
dove tanta beltá sospira c langue.

144.Pria che gli occhi apra al Sol, le labra al latte,
per le viscere anguste Amor saltante
precorre l’ora impetuoso, e batte
il sen materno con feroci piante:
e del ventre divin le porte intatte
s’apre e prorompe intempestivo infante.
Senza mano ostetrice ecco vien fuori,
ed ha fasce le fronde, e cuna i fiori.

145.Fuor del candido grembo a pena esposto,
le guizza in braccio, indi la stringe e tocca.
Pigolando vagisce, e corre tosto
su 1 urna metuca a conficcar la bocca.
Stillan le Grazie il latte, ed è composto
di mèl, qual piú soave Hibla mai fiocca.
Parte alternando ancor balia e mammelle,
da le Tigri è lattato, e da l’Agnelle.

146.Stame eterno al bambin le Filatrici
d’ogm vita mortai tiran cantando.
Van mansuete in su que’ campi aprici
le Fere piú terribili baccando.
Tresca il Leone, e con ruggiti amici
il vezzoso Torel lecca scherzando.
E con l’unghia sonora e col nitrito
lieto applaude il Destriero al suo vagito.