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Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. I, 1975 – BEIC 1869702.djvu/420

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167.Mentre son del gran pasto in su ’l piú bello,
ecco Momo arrivar quivi si vede,
Homo Critico Nume, arco e flagello,
che gli uomini c gli Dei trafige e fiede.
Ciò ch’egli cerchi, e qual pensier novello
tratto l’abbia dal Ciel, Yener gli chiede;
e perché volentier scherza con esso,
sei fa seder, per ascoltarlo, appresso.

168.— Vo — rispose lo Dio — tra queste piante
de la Satira mia tracciando Torme,
de la Satira mia, che poco avante
ha di me generato un parto informe;
parto ne le fattezze e nel sembiante
sí mostruoso, orribile, e difforme,
che se non fusse il suo sottile ingegno,
lo stimerei di mia progenie indegno.

169.Ma la vivacitá mio figlio il mostra
e lo spirto gentil ch’io scorgo in lui,
e quel ch’è proprio de la stirpe nostra,
la libertá del sindicare altrui:
onde meco del par contende e giostra,
che pur sempre del vero amico fui,
e mentir mai non volli, e mai non seppi
chiuder la lingua tra catene e ceppi.

170.La lingua sua vie piú che spada taglia,
la penna sua vie piú che fiamma coce.
Con acuta favella il ferro smaglia,
e con ardente stil fulmina e nóce;
né contro i morsi suoi morso è che vaglia,
né giova schermo incontro a la sua voce.
Indomito animale, estranio mostro,
ch’altro non ha che ’l fiato, e che l’inchiostro.