Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. I, 1975 – BEIC 1869702.djvu/427

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195.Poi che distintamente il modo e ’l loco
de l’alta ingiuria sua da Febo intese,
nel petto ardente de lo Dio del foco
foco di sdegno assai maggior s’accese.
Temprar ne l’ira sua si seppe poco
colui che tempra ogni piú saldo arnese.
De’ fulmini il maestro a l’improviso
fulminato restò da quell’aviso.

196.Vassen lá dove de’ Ciclopi ignudi
a la fucina il rozo stuol travaglia.
Fa percosse sonar le curve incudi,
dá di piglio a la lima, a la tanaglia,
e ponsi a fabricar con lunghi studi
pieghevol rete di minuta maglia.
D’un infrangibil filo adamantino
la lavorò l’artefice divino.

197.Di quel lavor la maestria fabrile
se sia diamante o fi] mal s’argomenta.
Xon men che forte, egli Tordi sottile,
la fe’ sí molle, e dilicata, e lenta,
che di filar giá mai stame simile
l’emula di Minerva indarno tenta;
e quantunque con man si tratti e tocchi,
mvisibil la trama è quasi agli occhi.

198.Con arte tale il magistero è fatto
ch’ancor ch’entrino i duo tra que’ ritegni,
pur che non facciali sforzo, in quanto al tatto
non si discopriran gli occulti ingegni:
ma se verran con impeto a quell’atto
che suol far cigolar dintorno i legni,
tosto che ’l letto s’agita e scompiglia,
la rete scocca, e al talamo s’appiglia.