Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. I, 1975 – BEIC 1869702.djvu/446

Da Wikisource.


7.Giá sergenti ed ancelle avean levati
da le candide nappe i nappi d’oro,
in cui di cibi eletti e dilicati
i duo presi d’Amor preser ristoro;
onde poi ch’a versar fiumi odorati
venne l’aureo baccin tra le man loro,
su la mensa volò lieta e fiorita
il bianco bisso ad asciugar le dita.

8.Allor dal seggio suo Venere sorta
verso l’ultima torre adduce Adone.
Vien tosto a disserrar l’aurata porta
l’Ostier de l’amenissima magione.
Ignudo ha il manco braccio, e l’unghia torta
v’affige dentro e stringelo un Falcone.
Le Talpe, le Testudini, e l’Aragne
son sempre di costui fide compagne.

9.Chiuso ne l’ampio e ben capace seno
è quel giardin, de la maestra torre,
degli altri assai piú spazioso, e pieno
di quante seppe Amor gioie raccorre.
Un largo cerchio e di beH’ombre ameno
vien un teatro sferico a comporre,
che col gran cinto de l’eccelse mura
protege la gratissima verdura.

10.Adon va innanzi, e par che novo affetto
d’amorosa dolcezza il cor gli stringa.
Non fu mai d’atto molle osceno oggetto,
che quivi agli occhi suoi non si dipinga.
Sembianti di lascivia e di diletto,
simulacri di vezzo e di lusinga,
trastulli, amori, o fermi il guardo o giri,
gli son sempre presenti, ovunque miri.