Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. I, 1975 – BEIC 1869702.djvu/505

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75.Parte colá de’ piú liet’anni io spesi,
e de’ colli famosi a l’ombra vissi,
e sotto Stelle nobili e cortesi
or l’altrui lodi, or le mie pene scrissi.
Stelle, i cui raggi d’alta gloria accesi
vinceano i maggior lumi in Cielo affíssi:
ma l’infiuenze lor per tutto sparse,
ad ogni altro benigne, a me fur scarse.

76.Vidi la Corte, e ne la Corte io vidi
promesse lunghe, e guiderdoni avari,
favori ingiusti, e patrocinii infidi,
speranze dolci, e pentimenti amari,
sorrisi traditor, vezzi omicidi,
ed acquisti dubbiosi, e danni chiari,
e voti vani, ed Idoli bugiardi,
onde il male è securo, e ’l ben vien tardi.

77.Ma come può vero diletto? o come
vera quiete altrui donar la Corte?
Le diè la Cortesia del proprio nome
solo il principio, il fine ha da la Morte,
lo volsi dunque pria che cangiar chiome,
terra e cielo cangiar, per cangiar sorte.
Ma lung’ora però del loco, in cui
ricovrar mi devessi, in dubbio fui.

78.Sperai di tanti danni alcun ristoro
trovar lá dove ogni valor soggiorna,
ne la Cittá che ’l nome ebbe dal Toro,
sí come il fiume suo n’ebbe le corna.
Venni a la Dora, che di fertil oro
(come il titol risona) i campi adorna.
Ma ’n prigion dolorosa, ove mi scòrse,
lasso, che ’n vece d’òr, ferro mi porse!