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LA FONTANA D’APOLLO
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151 E qui rapita ai secoli lontani
la bella Citherea la mente aperse,
onde l’istoria de’ successi umani,
quasi in teatro, al suo pensier s’offerse,
e ne’ piú cupi e piú profondi arcani
de l’etá da venir tutta s’immerse.
— Oh qual’ — dice — vegg’io, correndo i lustri,
nascer di ceppo tal germogli illustri!
152.Io veggio quinci dopo molto e molto
volger di Ciel, girar di mesi e d’anni,
del secol tristo in tenebre sepolto
spuntar un Sole a ristorare i danni:
Sol, ch’avrá sol di Donna il sesso e ’l volto,
ma ’l cor sempre viril tra i regii affanni.
Ogni nobil virtú sol da costei
verrá che nasca, o sorgerá per lei.
153.Non fia mai, che di questa un piú bel manto
alma copra piú saggia, o piú pudica.
Ma de le lodi sue basti sol tanto,
uopo non è ch’io piú di ciò ti dica,
ché qual proprio ella siasi, e come, e quanto
vinca di pregio ogni memoria antica,
in parte ov’io condur ti voglio in breve,
esserne l’occhio tuo giudice deve. —
154.Cosí gli dice, ed a la bella il bello
le parole interrompe in tal maniera:
— Deh dimmi, o fida mia, che scudo è quello,
lo qual posto non è con gli altri in schiera,
ma ne la base sta, che fa scabello
al gran motor de la piú chiara sfera?
In quell’azur, ch’ai ciel par si somigli,
che voglion dir que’ tre dorati Gigli? —