Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. I, 1975 – BEIC 1869702.djvu/527

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163.E se ben chi la suona, e chi la tocca
sosterrá di Fortuna oltraggi e scherni,
quando l’invidia altrui maligna e sciocca
ha che ’n lui sparga i suoi veleni interni,
mentr’avrá spirto in petto, e fiato in bocca,
non però cesserá, che non t’eterni,
di te narrando meraviglie tante,
che ne suoni Parnaso, e tremi Atlante. —

164.Allor Venere tace, e dove folta
stendon la verde chioma allori e faggi,
mille intorno al bel Fonte e mille ascolta
Poeti alati e Musici selvaggi,
che con rime amorose a volta a volta
e con infaticabili passaggi
intrecciando sen van per la verdura
di lasciva armonia dolce mistura.

163.Il vago stuol de’ litiganti augelli,
per riportar de’ primi onori il fasto
innanzi a Citherea tra gli arboscelli
cominciò gareggiando alto contrasto,
e concenti formò sí novi e belli
ch’a pareggiargli io col mio stil non basto.
Giurò Venere istessa in Ciel avezza
che le sfere non han tanta dolcezza.

166.O perch’assai piacesse a questa Piva
il canto che ’n su ’l fine è piú sollenne,
o perché monda e di sozzure schiva
amasse il bel candor di quelle penne,
gregge di bianchi Cigni ella nutriva
ne l’Isoletta ove quel giorno venne,
ch’ambiziosi allor de le sue lodi
a cantar si sfidaro in mille modi.