Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. I, 1975 – BEIC 1869702.djvu/546

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23.Cosí dicea di Giove il massaggierò,
né lasciava d’andar perch’ei parlasse.
De’ campi intanto ov’ha Giunone impero
lasciate avea le regi’on piú basse,
e giá verso il piú attivo e piú leggiero
elemento drizzava il lucid’asse,
la cui sfera immortai mai sempre accesa
passò senza periglio, e senza offesa.

24.Varcato il puro ed innocente foco
ch’a la gelida Dea la faccia asciuga,
l’Etra sormonta, ed a piú nobil loco
giá presso al primo Ciel prende la fuga,
e ’l suo corpo incontrando a poco a poco,
che par specchio ben terso e senza ruga,
in queste note il favellar distingue
il maestro de l’arti e de le lingue:

25.— Adon, so che saver di questo giro
brami i secreti, ove siam quasi ascesi:
con tanta attenzion mirar ti miro
nel volto de la Dea, madre de’ mesi;
che se ben tu mi taci il tuo desiro,
e la dimanda tua non mi palesi,
ti veggio in fronte ogni pensier dipinto
piú che se per parlar fusse distinto.

26.Questo, a cui siam vicini, è de la Luna
l’orbe, che ’mbianca il Ciel con suoi splendori,
candida guida de la notte bruna,
occhio de’ ciechi e tenebrosi orrori.
Genera le rugiade, i nembi aduna,
ed è ministra de’ fecondi umori.
Dagli altrui raggi illuminata splende,
dal Sol toglie la luce, al Sol la rende.