Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. I, 1975 – BEIC 1869702.djvu/556

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63.Quelle le Parche son, per cui laggiuso
è filata la vita a tutti voi.
Nel suo volto guardar sempre han per uso,
tutte dependon sol da’ cenni suoi.
Quella tien la conocchia, e questa il fuso,
l’altra torce lo stame e ’l tronca poi.
Vedi la Veritá figlia del Vecchio,
ch’innanzi agli occhi gli sostien lo specchio.

64.Quanto in terra si fa, lá dentro ei mira,
e de l’altrui follie nota gli essempi.
Vede l’umana ambizion, ch’aspira
in mille modi a fargli oltraggi e scempi.
Crede fiaccargli alcun la forza e l’ira
ergendo statue e fabricando tèmpi.
Altri contro gli drizza archi e trofei,
Piramidi, Obelischi, e Mausolei.

65.Ride egli allora, e si sei prende a gioco,
scorgendo quanto l’uom s’inganna ed erra;
e poi che ’n piedi ha pur tenute un poco
quelle machine altere, alfin l’atterra.
Dálie in preda de l’acqua, over del foco,
or le dona a la peste, or a la guerra.
Le sparge in fumo in quella guisa o in questa
sí che vestigio alcun non ve ne resta.

66.E di ciò la ministra è sol quell’una,
ch’è cieca, e d’un Delfin su ’l dorso siede,
calva da tergo, e ’l crine in fronte aduna,
alata, e tien sovr’una palla il piede.
Guarda se la conosci, è la Fortuna,
ch’ai paterno terren passar ti diede.
Mira quanti tesor dissipa al vento,
mitre, scettri, corone, oro ed argento.