Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. I, 1975 – BEIC 1869702.djvu/608

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271.Scorre Vulcano, e mormorando rugge,
e tra’ ruggiti suoi vibra la lingua.
Gabbie intorno e castella arde e distrugge,
né sa Nettuno omai come l’estingua.
L’ésca del sangue, che divora e sugge,
alimento gli porge onde s’impingua.
Vince, trionfa, e con la man rapace
depreda il tutto imperioso, e sface.

272.In ben mille piramidi vedresti
sorger la fiamma dagli ondosi campi,
alzar le punte, ed a que’ venti e questi
crollar le corna, e scaturirne i lampi.
Tra sí fieri spettacoli e funesti
par che la fiamma ondeggi, e l’onda avampi.
Par che torni a la lite, onde pria nacque,
fatto Abisso di foco, il Ciel de Tacque.

273.L’eccelse poppe e le merlate rocche
son cangiate in feretri, e fatte tombe.
Con rauche voci e con tremende bocche
romoreggian tamburi, e stridon trombe.
Lanciansi i dardi e vòtansi le cocche,
vibransi baste e rotansi le trombe.
Chi muor trafitto, e chi malvivo langue,
solcan laceri busti il proprio sangue.

274.Tremendi casi la spietata zuffa
mesce di ferro in un, d’acqua, e di foco.
Chi nel fondo del pelago s’attuffa,
chi del sale spumante è fatto gioco,
chi galleggia risorto e ’l flutto sbuffa,
chi tenta risalir, ma gli vai poco
ché ricade ferito, ed a versare
vien di tepido sangue un mar nel mare.