Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. I, 1975 – BEIC 1869702.djvu/662

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183.Nel tempo dunque che t’accenno or io,
sappi la mente aver provida e saggia.
Guárdati pur dal bellicoso Dio,
e fuggi ogni crudel bestia selvaggia.
Ma non so se la vita al fato rio
potrai tanto sottrar ch’allín non caggia,
e qual da talee suol tronco ligustro,
non péra al cominciar del quarto lustro.

184.Cosí parlava, e piú parlar volea
l’Ambasciador del concistoro santo,
quando le sue ragion ruppe la Dea,
che seco il bell’Adon trasse da canto.
— Lascia omai queste favole — dicea
ed al garrulo Dio non creder tanto,
però ch’egli è ben saggio a dirne il vero,
ma vie piú fraudolento e menzognero.

183.Pascolava lo Dio de l’aurea cetra
in Anfriso l’armento, ed ei rubollo.
Tacciomi quando l’arco e la faretra,
ancor fanciullo, gli furò dal collo,
destro cosí, che ne restò di pietra
e n’arrossí, ma ne sorrise Apollo.
Tolse a Giove lo scettro, e non fu molto
se non cocea, gli avrebbe il fulmin tolto.

186.A lo Dio de la guerra invitto e franco
il pugnai portò via da la vagina.
Al mio marito la tanaglia ed anco
il martello involò ne la fucina.
A me stessa (che piú?) rapí dal fianco
il cinto, e si vantò de la rapina.
Or teco a scherzi intento, ed a follie,
prende a vaticinar sogni e bugie.