Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. I, 1975 – BEIC 1869702.djvu/76

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74 la fortuna


71.Presso al focon di mille ordigni onusto
travaglia il nero fabro entro la grotta.
Più d’un callo ha la man forte e robusto,
a le fatiche essercitata e dotta.
Ruginosa la fronte, il volto adusto,
crespa la pelle ed abbronzata e cotta,
sparso il grembial di mill’avanzi e mille
di limature e ceneri e faville.

72.Quand’egli scorge il nudo pargoletto,
la forbice e ’l martel lascia e sospende,
e curvo e chino entro il lanoso petto
con un riso villan da terra il prende.
Tra le ruvide braccia avinto e stretto
l’ispido labro per baciarlo stende,
e la sudicia barba ed incomposta
al molle viso e dilicato accosta.

73.Ma mentre ch’egli l’accarezza e stringe,
raccolto in braccio con paterno zelo,
Amor, perché baciando il punge, e tinge,
la faccia arretra da l’irsuto pelo,
e con quel sozzo lin, che ’l sen gli cinge,
per non macchiarsi di carbone il velo,
a l’aspra guancia d’una in altra ruga
de l’immondo sudor le stille asciuga.

74.— Padre, da la tua man — poscia gli dice —
voglio or or sovrafina una saetta,
che fia de’ torti tuoi vendicatrice:
lascia la cura a me de la vendetta.
Il come appalesar né vo’, né lice:
basti sol tanto, spácciati, c’ho fretta.
Non porta indugio il caso, altro or non puoi
da me saper, l’intenderai ben poi.