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Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. I, 1975 – BEIC 1869702.djvu/90

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88 la fortuna


127.Questa è la terra ch’a la Dea che nacque
da l’onde con miracolo novello,
tanto fu cara un tempo, e tanto piacque,
che disprezzato il suo divino ostello,
qui sovente godea fra l’ombre e l’acque
con invidia de l’altro un Ciel più bello;
e v’ebbe eretto a l’immortale essempio
de la sua diva imago altare e tempio.

128.Scende quivi il Garzon salvo a l’asciutto,
ma pur dubbioso, e di suo stato incerto,
ch’ancor gli par de l’orgoglioso flutto
veder l’Abisso orribilmente aperto.
Volgesi intorno, e scorge esser per tutto
circondato dal mar bosco e deserto.
Ma quella solitudine che vede,
gioconda è sì, ch’altro piacer non chiede.

129.Quivi si spiega in un sereno eterno
l’aria in ogni stagion tepida e pura,
cui nel più fosco e più cruccioso verno
pioggia non turba mai, né turbo oscura;
ma prendendo di par l’ingiurie a scherno
del gelo estremo, e de l’estrema arsura,
lieto vi ride, né mai varia stile,
un sempreverde e giovinetto Aprile.

130.I discordi animali in pace accoppia
Amor, né l’un da l’altro offeso geme.
Va con l’Aquila il Cigno in una coppia,
va col Falcon la Tortorella insieme.
Né de la Volpe insidïosa e doppia
il semplicetto Pollo inganno teme.
Fede a l’amica Agnella il lupo osserva,
e secura col Veltro erra la Cerva.