Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/127

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155.Cosí dicea dissimulando, e certo
ogni altro, a cui da l’Orator d’Egitto
stato non fusse un tanto inganno aperto,
o che non fusse in léaltate invitto,
dal dolce oggetto a la sua vista offerto
fuggir non potea giá d’esser trafitto.
Volgendo alfin l’ingannatrice il tergo
desperata partí da quell’albergo.

156.E con Idonia far l’ultime prove
del beveraggio magico risolve.
Qual guastada abbia a tórre, e come, e dove
le ’nsegna, e qual licor misto a qual polve.
Quella il silopo a preparar si move,
che gli umani desir cangia e travolve;
e nel secreto studio, ove la Fata
chiude gli arcani suoi, s’apre l’entrata.

157.Prende l’ampolla abominanda e ria,
e quel forte velen tempra e compone,
che se fusse qual crede, e qual desia,
non che le voglie infervorar d’Adone,
far vaneggiar Senocrate poria,
e d’illecite fiamme arder Catone.
Ma non tutto quel male e quello scempio
permette il Ciel, che si promette l’empio.

158.La rea ministra, ch’ai Garzon la mensa
dopo la Nana ha d’apprestare in uso,
mesce il vin con quel sugo, e gli dispensa
ne l’aurea coppa il maleficio infuso.
Ma non pari l’effetto a quel che pensa,
il disegno fellon lascia deluso.
A pena ei l’acqua perfida ha bevuta,
che súbito di fuor tutto si muta.