Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/126

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151.Non è questo non è vero godere,
né modo d’appagar nobil desire.
E qual gioia esser può contro il volere
di chi non vuole alcun piacer rapire?
Ma che? delizie ed agi ama il piacere;
tra miserie e dolor chi può gioire?
Non si denno dubbiose e malsecure
le dolcezze mischiar con le sciagure.

152.Vuoi che tra ceppi e ferri io t’accarezzi?
Ix>co questo ti sembra atto ai diletti?
Serba (ti prego) a miglior tempo i vezzi,
piú ch’oportuni, or importuni affetti.
Attendi pur, che s’apra, o che si spezzi
la prigione, onde trarmi oggi prometti;
né creder ch’ai trastulli io possa pria
teco tornar, che libero ne sia.

153.Bástiti, ch’io di te non ardo meno:
abita il corpo qui d’anima privo,
l’anima alberga teco, e nel tuo seno
vive vita miglior, ch’io qui non vivo.
Né del carcere antico il duro freno
d’altra beltá mi lascia esser cattivo;
né quantunque dannata a sí rea sorte,
la mia vita per te teme la morte.

154.L’oro crespo e sottil, l’oro lucente
di quella bionda treccia, ond’io fui preso,
quanto oh quanto è piú forte e piú possente
di questo ricco mio tenace peso!
Questa catena è tal, che solamente
ritiene il corpo, e non n’è il core offeso.
Quella che mi legò la prima volta
mi stringe il core, e non sará mai sciolta. —