Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/15

Da Wikisource.


19.Piú veloce che folgore o che strale,
dovunque il cieco Arcier soggiorna o regna
col pensier vola; ha nel pensier miirale,
e mille strane machine disegna.
Per trar da l’altrui bene il proprio male,
secrete cifre interpretar s’ingegna.
Corre dietro al periglio, e sa che ’n breve
quel che segue, e che brama, uccider deve.

20.L’occhio aguzza per tutto, e move il piede
tacita a l’ombra, e sconosciuta al Sole.
Si riduce a temer ciò che non vede,
e studia a procacciar ciò che non vòle.
Non men che ’l vero, il falso afferma e crede,
cercando quel che di trovar le dole;
e sta sempre sí dubbia e sospettosa,
che la notte non dorme, il dí non posa.

21.Un rospo ha in bocca, ed un pestifer angue
su la poppa sinistra il cor le sugge.
Giá mai non ride, a l’altrui rider langue,
e ciò che non è doglia, aborre e fugge.
Cosí sempre dolente, e sempre essangue,
per distrugger Amor, se stessa strugge.
Tra foco e ghiaccio si consuma e pasce,
vivendo more, e nel morir rinasce.

22.Piagne, freme, vaneggia, e trema e pavé,
l’Universo conturba ed avelena,
e ’n sé di buono insomma altro non have
ch’esser flagello a se medesma, e pena.
Ne l’antro istesso, entro ristesse cave
vive altra gente ancor d’affanni piena:
squadra di morbi, e legíon di mali,
suoi perpetui compagni e commensali.