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I 4 S

LA PRIGIONE

263.Le bravure de l’un l’altra ascoltando,
si divora di stizza e di tormento.
— Tempo — dice — non è d’andar gittando
l’ore, o mio fido, e le parole al vento.
Malagevoli imprese io non dimando,
noto m’è troppo il tuo sommo ardimento.
So le tue forze, il tuo valor ben veggio:
ma molto men di quanto hai detto io cheggio.

264.Prendimi sol quel fuggitivo ingrato,
perfido, disleale, e traditore.
Prendilo, e trailo vivo a me legato,
ch’io sfoghi a senno mio l’ira e ’l dolore.
Vivo dammi il crudel che m’ha rubato —
disse «il tesor» ma vòlse dire «il core».
— Oltre via, farò pur — soggiunse Orgoglio —
quel che vuoi, quel che deggio, e quel che soglio. —

265.Non molto sta dopo tai detti a bada,
e s’accinge al partir l’anima altera.
Prende un scelto drappel di sua masnada,
gente simile a lui malvagia e fera.
Seguendo il van per non battuta strada
il Disprezzo e ’l Dispetto in una schiera.
Lo Scherno è seco, e seco ha per viaggio
l’Insolenza, il Terror, l’Onta e l’Oltraggio.

266.Trascorre i campi, e si raggira ed erra
spiando del Garzon la traccia invano.
Porta ovunqu’egli va tempesta e guerra,
fa tremar d’ognintorno il monte e ’l piano.
L’elci robuste e i grossi faggi atterra,
e pela i boschi con la sconcia mano.
Col soffio sol par ch’ammorzar presuma
la gran lampa del Ciel, che ’l mondo alluma.