Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/168

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39.Questi fummo noi duo, che come roti
l’instabil Dea, del mondo agitatrice,
provato abbiam, dal dí che tra’ suoi moti
aprimmo gli occhi al Sol, coppia infelice.
Argene poi, di cui noi siam nipoti,
in vece n’allevò di genitrice,
però che quella in su l’angosce estreme
l’anima avea col parto espressa insieme.

40.Non è gran tempo, che per bando espresso
Cipro intorno mandò publici gridi
ch’a tórre il regno al piú bell’uom promesso
venga chiunque in sua beltá confidi.
La nostra Zia, c’ha pretendenza in esso,
fe’ da Menfi tragitto a questi lidi;
e stimandoci ancor tra ’l popol greco
degni di comparir, ne menò seco.

41.L’altr’ier (però che qui nostro costume
era sovente essercitar le cacce)
per un Cervo seguir, ch’entro nel fiume
spaventato da gridi e da minacce,
perdemmo insieme col diurno lume
de la Fera e de’ nostri in un le tracce.
Cosí smarriti, in altri lacci tesi
fummo di cacciator cacciati e presi. —

42.Tacque, e volendo dir ch’altra prigione
tenea le voglie sue strette e legate,
sospirò sí, che ne sorrise Adone,
e parte di quel male ebbe pietate,
ché giá dotto in Amor, di ciò cagione
ben conobbe esser sol la sua beltate:
beltá, principio e fin d’un gran tormento,
vista, amata, e perduta in un momento.