Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/175

Da Wikisource.


67.Filauro intanto, il qual ne l’istess’ora
la sorella e la donna ha in un perdute,
del nome di Licasta e di Filora
fa l’ombre risonar tacite e mute.
De l’una la beltá sospira e plora,
de l’altra l’onestate e la salute;
e fa dentro il suo cor fiero duello
l’amor del sangue con l’amor del bello.

68.Impronta di suggel tenera cera
sí salda in sé non serba e non ritiene,
come un cor giovenil de la primiera
beltá l’effigie, ov’a scontrar si viene.
Costui del primo amor la viva e vera
sembianza impressa ha nel pensier sí bene,
che non vai del bel foco, ond’egli avampa,
altro accidente a cancellar la stampa.

69.Mentre che per la selva erra e s’imbosca
desperato e dolente in questa guisa,
incontro a sé venir per l’ombra fosca
vede persona che non ben ravisa,
e possibil non è ch’ei la conosca,
se ben intento assai l’occhio v’affisa,
ché lontano è l’oggetto, e l’aria oscura:
ma per lemina pur la raffigura.

70.L’attese, e poi che donna esser s’accorse,
con cor tremante avicinossi a quella.
Se sia Luna o sia l’altra è ancora in torse,
alfin conosce pur, ch’è la sorella.
Con qual affetto ad abbracciar la corse,
con quai segni d’amor l’accolse anch’ella,
con quai baci iterati, e con quai sensi,
chi può dirlo e pensarlo il dica e ’l pensi.