Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/186

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111.O la fretta soverchia, o il caso rio
da la mira lo strai travolse e torse:
si che del fido amico il colpo pio
del fier nemico il colpo empio precorse;
del nemico, che pur s’intenerio,
ed era di ferirlo ancora in forse:
e forse piú da presso avendo scorto
quel bel viso gentil, non l’avria morto.

112.Tassa il cuoio macchiato a nero e bianco,
spinto dal braccio de TArder gagliardo,
e fiede al caro Armillo il miglior fianco
il disleale e dispietato dardo.
Quei la man bella in su ’l costato manco
si pone, e dice a l’uccisor col guardo:
— Io moro (ahi crudo) ma la tua saetta
porta insieme l’offesa, e la vendetta. —

113.Come fonte talor limpido e puro,
dove il piè sozzo il zappador si lavi,
o come bel giardin, cui l’aspro e duro
rastro de l’arator fieda ed aggravò,
cosí del volto pallido ed oscuro,
cosí de’ torbidetti occhi soavi,
e secchi e spenti da’ mortali oltraggi
languirò i fiori, e s’offuscaro i raggi.

114.Sospende il ferro, e vòlgesi a Melanto
pien di disdegno Orgonte, e di fierezza:
e vede che ’l gran duol gli ha tolto il pianto
a lo sparir di quell’alta bellezza,
e de la piaga involontaria intanto
l’arco ingrato ministro a terra spezza:
la destra errante, al suo diletto infida,
si morde: e brama pur ch’altri l’uccida.