Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/185

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107.Ciò detto il lascia, e per l’orribil mischia
dove Orgonte combatte, in fretta giunge,
ed aventa lo strai, che stride e fischia,
ma ’l bersaglio ove va, punto non punge.
Contro il meschin, ch’oltre l’etá s’arrischia,
la vista gira, e guatalo da lunge:
indi s’accosta, e con sorriso acerbo
cosí ’l motteggia il Barbaro superbo:

108.— Deh fino a quando esser potrá che tardi
a rincontrar ciò che ’l tuo cor desia,
sí ch’uom la morte, che d’aver tant’ardi,
fanciulletto importuno, alfin ti dia?
Or io non vo’ che piú gli altrui riguardi
facciano insolentir tanta follia.
So che per te miglior fora la sferza:
ma la mia spada ancor talvolta scherza. —

109.Tacque, e con lui si strinse: e quei smarrito
quando mirò la spaventosa fronte
vòlse fuggir, ma nel sanguigno sito
smucciò col piede, e sdrucciolò dal monte.
Sovra gli va di rabbia infellonito,
e giá di sangue innebriato Orgonte.
Melanto il vede, ed al Garzon caduto
corre per dar nel gran periglio aiuto.

110.Ma perché quel crudel mostro inumano
giá l’ha giunto in un salto, e giá gli ha presa
la chioma d’or con la sinistra mano,
e l’altra per ferirlo alzata e stesa,
ed ei non può, per esserne lontano,
a tempo ritrovarsi a la difesa,
gitta la spada, e dá di piglio a l’arco,
e giá l’ha teso in un momento, e carco.