Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/184

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103.Saetta il fier Garzon dopo costoro
Lupardo il nero, e Serpentano il brutto,
e Tigrane il crudele aggiunge loro,
ch’avea de’ buon gran numero distrutto.
Piovono a mille le quadrella d’oro,
scompigliato ne sona il bosco tutto;
né qui s’affrena ancor l’animo audace,
né riposa la man, né l’arco tace.

104.Giá la faretra omai di dardi ha vota,
e ’l braccio quasi indebolito e lasso,
quand’ecco il fiero Orgonte, eecol che rota
la spada a cerchio, e s’apre intorno il passo.
Fermo l’aspetta, e con lo sguardo il nota,
poi trae l’ultimo strai fuor del turcasso
ed accelera il piede ov’empia sorte
il fa quasi volar contro la morte.

105.Presto, ovunqu’egli vada, al suo soccorso
Melante il segue pur, né l’abbandona:
e come il vede in si gran rischio, il corso
colá súbito volge, e gli ragiona:
— Raccogli omai, fanciul malcauto, il morso
a l’ardir, che tropp’oltre oggi ti sprona.
Orme fin qui del tuo valor lasciasti
fra’ nemici assai chiare, or tanto basti. —

106.E quegli a lui: — Deh quest’altier, che tanto
spaventa altrui, consenti almen ch’assaglia.
Non mi disdir ch’io ’l provi, e provi quanto
(poi che in vista è si fiero) in fatti ei vaglia.
Di ciò ti prego sol, caro Melanto,
non cheggio dopo questa altra battaglia.
Se vincerò, tu mio fedel custode
n’avrai Tarmi e le spoglie, ed io la lode. —