Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/190

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127.Gli entra un pensier, pur tuttavia fuggendo,
barbaro ne la mente, e desperato.
Di perder certo, né soffrir potendo
ch’altri abbia a posseder l’acquisto amato,
punto da gelosia, toma correndo
a la grotta, ove dianzi ei l’ha lasciato,
e viene in su la bocca allora allora
ad incontrar la misera Filora.

128.Filora in su l’entrar del cavo speco
guidollo a ritrovar crudo destino,
e da l’ombre abbagliato e fatto cieco
dal furor de la rabbia, e piú del vino,
del vin, che tolto a un navigante Greco
bebbe quel di soverchio il malandrino,
prestando fede al feminile arnese,
in cambio di Licasta egli la prese.

129.Senz’altro dire allor la spada strinse,
e nel bel seno il perfido l’ascose,
e ’l vivo latte arrubinando tinse
di calde porporette e rugiadose.
Degli occhi il lume in un balen s’estinse,
e de le guance impallidir le rose.
Ella giacque gemendo, e senza moto
lasciò l’anima ignuda il corpo vóto.

130.Ciò fatto, qual pietoso angue d’Egitto,
ch’uccide altrui, poi si lamenta e dole,
tra se stesso piangendo, e forte afflitto
del suo ecclissato e tramontato Sole,
in un vicin sepolcro il vel trafitto
(giá de’ Regi di Cipro antica mole)
prestamente trasporta, e quivi il serra:
poi con rabbia maggior ritorna in guerra.