Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/200

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167.Mentre nel bianco vel forbisce e netta
l’orrenda lingua, e la spietata zanna,
ecco su la sbranata Giovinetta
giunge Filauro, e per error s’inganna.
L’orme seguendo de la sua diletta,
trova il crudo mastin che la tracanna.
Cosi pensò, schernito da la vesta,
e dal tronco, che scema avea la testa.

168.Imaginò senz’alcun dubbio al mondo
Licasta esser colei, ch’era Filora:
onde rivolto a l’animale immondo,
trangugiator de la beltá ch’adora,
e rapito da l’impeto iracondo,
un stiletto ch’avea traendo fora,
strozzollo, e con mortai colpo improviso
il fc’ cader sovra l’uccisa ucciso.

169.Stringendo tuttavia l’acuto stile,
il bel busto stracciato ei tolse in braccio.
— Deh s’ancor per quest’aere, ombra gentile,
voli sciolta — dicea — dal caro laccio,
gradisci il sacrificio, ancor che vile,
ch’oggi col core e con la man ti faccio.
Ecco ad offrir due vittime ti vegno,
l’una offerta è d’amor, l’altra di sdegno.

170.L’una è del sozzo can, che ’l fior m’invola
di beltá tanta in sua stagion piú fresca,
il sangue sparso, e la scannata gola,
divoratrice di si nobil ésca.
L’altra è l’anima mia, ch’a te sen vola:
deh di teco raccòrla or non t’incresca.
Accetta il don di questa fragil salma,
mira i pianti, odi i preghi, e prendi l’alma. —