Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/229

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83.Io per farle talor piú chiara mostra
de Tesser mio, di lucid’armi adorno
uscire in piazza e comparire in giostra
con pompose livree soleva il giorno.
La notte poi dentro la regia chiostra
a le paci d’Amor iacea ritorno;
né che fuss’io (sí sempre io mi celai)
altri (tráttane lei) seppe giá mai.

84.D’Argene ancor, che seco era sovente,
la conoscenza in questo mezo io presi;
ed un dí che tra’ fior vipera ardente
venia con fauci aperte e lumi accesi
per trafigerle il piè col crudo dente,
col nodoso bastone io la difesi.
La Serpe uccisi, e l’obligo che m’ebbe,
molto di lei Taffezzion m’accrebbe

85.Spesso da indi in poi tacito e cheto
venia le notti a consumar con ella,
né parte ebbe giá mai di tal secreto
(fuor che la fida Arsenia) altra donzella.
Cosí Tore passai felice e lieto
sotto destro favor d’amica stella
fin che venne a mischiar la Vecchia astuta
tra le dolcezze mie fiele e cicuta.

86.O degli orti d’Amor Cani custodi,
vigilanti nel mal, garrule Vecchie,
tra’ piú leggiadri fior tenaci nodi,
nel piú soave mèl pungenti pecchie!
Non ha tante la Volpe insidie e frodi,
tante luci il Sospetto, e tante orecchie,
quante per danno altrui sempre n’ordite,
(deh vi fulmini il Ciel!) quante n’aprite.