Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/231

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291.Le giunture ha snodate e mal congiunte,
adunco il naso, che ’n su ’l labro scende.
Sporgon le secche coste in fuor le punte,
sgonfio su le ginocchia il ventre pende.
Ciascuna de le poppe arsicce e smunte
fin al bellico il bottoncin distende.
Ne la gola il gavocciolo, e nel mento
porta la barba di filato argento.

292.Ha chiome irsute, ispido ciglio e folto,
bavose labra, obliqua bocca e grossa,
squallida fronte, e disparuto volto,
e ’nsomma altro non è ch’anima ed ossa.
Sembra orrendo cadavere insepolto,
che fuggito pur or sia da la fossa.
Sembra mummia animata, e ’n tutto sgombra
d’umana effigie, una palpabil ombra.

293.Pensa tu s’io devea per cosí fatte
fattezze, e per sí laido e sozzo mostro
lasciar colei ch’oscura il minio e ’l latte,
e vince al paragon l’avorio e l’ostro!
Ella con vezzi ognor piú mi combatte,
io con repulse mi difendo e giostro.
Cangia l’amore alfin, poi che si mira,
non che sprezzata, abominata, in ira.

294.Fusse qualch’atto il dí non ben nascosto,
che le svegliò la mente e la riscosse,
o pur sotterra il cumulo riposto
di cotant’òr, eh’a sospettar la mosse,
o de l’animo perfido piú tosto
la naturai malignitá si fosse,
per ispi’ar ciò ch’io facessi, avenne
ch’una notte pian pian dietro mi tenne.

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