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Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/249

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363.Sidonio, che malconcio in terra il mira,
né risentirsi pur de la caduta,
per veder se ’l conosce, e s’ancor spira,
smonta di sella, e gli alza la barbuta:
e ritrova esser Donna (e se n’adira)
colei che di sua man giace abbattuta.
Per accertarsi piú, l’elmo le slaccia,
e di Dorisbe sua scopre la faccia.

364.Vede ch’ella è Dorisbe, ed — Ahi crudele,
crudele oh me, me piú d’ogni altro infido!
Or guarda opra — gridò — d’alma fedele,
vengo a salvarti, e di mia man t’uccido! —
Volea piú lunghe far le sue querele,
ma gli fu dal dolor sospeso il grido,
né ben sapea, tanto stupor l’oppresse,
s’egli il falso sognasse, o il ver vedesse.

365.Scaglia il tronco infelice incontro al suolo,
e ’ncontro al suol lo scudo e l’elmo gitta.
Poi dolcemente amareggiando il duolo,
bacia colei che crede aver trafitta.
V’accorre allor con numeroso stuolo
di quel popol dolente Argene afflitta,
ed assalita è ben da nòve angosce
quando i duo prigionier mira e conosce.

366.Ferme, e di foco e sangue accese ed ebre
ne la figlia le luci un pezzo tenne;
e quando tinta di color funebre
la vide, infino agli occhi il pianto venne;
ma lo sdegno reai su le palpebre
le giá cadenti lagrime sostenne,
stimando di vulgar tropp’umil gente
bassezza il lagrimar publicamente.