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GLI ERRORI
Deh come tanto cor Sidonio avesti,
de’ tuoi nemici a crederti in balía?
Come celarti poi sí ben sapesti,
che t’ebbi in man, né ti conobbi pria?
Ed or che ti conosco, a che volesti
pormi in necessitá d’esserti pia?
Perché mi sforzi a far, lassa, al Re morto
ed a la mia grandezza un sí gran torto?
O mie schernite e disprezzate leggi,
a le leggi d’Amor ciò si condoni.
Amor, a te, che l’Universo reggi,
non a pietá, cotal pietá si doni.
Scusi l’alma gentil dagli alti seggi
l’atto, e questo perdono a me perdoni:
ché meglio è di me stessa aver vittoria,
che di vinto nemico acquistar gloria. —
Non era giunta al fin di questo detto,
non avea freno ancor posto a la voce,
quando Dorisbe, il cui confuso petto
era steccato di conflitto atroce,
dov’amore ed onore, odio e dispetto
facean guerra tra lor cruda e feroce,
aventossi a la spada, e gliela tolse,
indi in questo parlar la lingua sciolse:
— Poco a lui, meno a me si dee pietate,
anzi a lui si perdoni, a me non mai.
Io sol le leggi ho rotte e violate,
morir sola degg’io, che sola errai.
E vo’ morir per trar fra le malnate
la piú malnata e misera di guai;
e questo è il premio alfin, che malaccorta
da l’amor del nemico ella riporta.