Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/269

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19.Sorgi stella d’Amor, fiamma mia cara,
dolce vaghezza mia, dolce sospiro.
L’ombre de l’Orizonte omai rischiara,
ma piú quelle ov’io cieco ognor m’aggiro.
Sarai sí di pietate in terra avara,
come larga di luce in Ciel ti miro?
Miri tu la mia pena, e ’l mio dolore?
O da me, come l’occhio, hai Iunge il core?

20.Deh perché le bell’ore indarno spendi
per governar d’un aureo carro il freno?
che ti giova il piacer, che ’n Ciel ti prendi,
d’errar per lo notturno aere sereno?
Lascia le vane tue fatiche, e scendi
ornai tra queste braccia, in questo seno.
Vedrai ch’ai tuo venir quest’antri foschi
fieno Orienti, e Paradisi i boschi.

21.Boschi, d’Amor ricoveri frondosi,
de’ miei pensieri secretari fidi,
taciturni silenzii, orrori ombrosi,
e di fere e d’augei caverne e nidi,
con voi mi doglio, e tra voi (prego) ascosí
restili questi sospiri, e questi gridi;
né sia ch’alcun di lor quel Ciel percota,
che lieto del mio mal (credo) si rota.

22.Fontane vive, che di tepid’onde
largo tributo da quest’occhi avete,
e voi, ch’altere in su le verdi sponde,
mercé de’ pianti miei, piante crescete,
se ben Tacque asciugar, seccar le fronde
a tante, c’ho nel cor, fiamme solete,
voi sol de’ miei dolor, mentre mi doglio,
ascoltatrici e spettatrici io voglio.