Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/270

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23.E tu, ch’afflitto, e degli afflitti amico,
solitario augellin, sí dolce piagni,
o che la doglia del tuo strazio antico
languir ti faccia, o che d’Amor ti lagni,
ferma pietoso il volo a quant’io dico,
né sdegnar che nel duolo io t’accompagni:
ché se ’l mio stato al tuo conforme è tanto,
ragion è ben, che sia commune il pianto. —

24.Piú oltre ancor de’ suoi lamenti il corso
l’innamorato Giovane seguia,
ch’un marmo, un ghiaccio, un cor di Tigre e d’Orso
intenerito, incenerito avria.
Ma pose il duolo a la sua lingua il morso,
che sgorgando dal cor per altra via,
mentre a la lingua il pose, agli occhi il tolse,
e ’n desperate lagrime lo sciolse.

25.Or perché ’l Sol giá poggia, e i poggi inaura,
lascia i riposi de l’erboso letto,
e prende a passeggiar per la frese’aura
del rezo mattutin tutto soletto.
Di nova speme allor, che lo restaura,
un certo non so che sentesi al petto.
Quasi un balen di tenerezza dolce
gli scende al cor, che lo rinfranca e molce.

26.Lá dove il vago passo o fermi o mova,
ogni erba ride, ogni arboscel s’indora.
Ringermoglia la terra e si rinova,
e quanto può le care piante onora.
Spunta di rose amorosette a prova
schiera lasciva, e le bell’orme infiora.
E ’l piè fregiato di celeste lume
corre a baciargli, e ne trae fiamme il fiume.