Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/280

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63.Stupisce Adone, e sbigottisce, e quasi
di languidezza e di desir trabocca,
e gli occhi abbassa, e non gli son rimasi
colori in faccia, né parole in bocca;
e rimembrando i suoi passati casi,
sí fiera pass’ion l’alma gli tocca,
e sí fatti sospir ne svelle fòre,
che par che fatto pezzi abbia del core.

64.— Veramente gli è ver — poscia risponde —,
son preso, ed ardo, e me ne glorio, e godo,
poi che giá mai piú degno incendio altronde
non nacque e non fu mai piú nobil nodo.
Ma la beltá ch’avaro Ciel m’asconde
(lasso, e chi può lodarla?) a pien non lodo.
Lodala, Amor, ch’ivi nascesti, ed iv r i
regni sempre, e trionfi, e voli, e vivi!

65.Quando quest’occhi in prima Amor rivolse
a mirar la beltá ch’ogni altra eccede,
l’alma le porte aperse, e la raccolse
de la sua reggia a la piú eccelsa sede;
quindi a me di me stesso il regno tolse
ed a colei, che l’avrá sempre, il diede,
nascondendo il mio cor nel sen di lei,
e la bellezza sua negli occhi miei.

66.Altro da indi in qua non seppi poi
ch’a le leggi ubbidir del cieco Dio,
e tutti ricevendo i dardi suoi,
gli serví di faretra il petto mio.
Quanto piú crebbe amor poscia tra noi,
piú crebbe in me timor, crebbe desio,
e sempre in vera fé stabile e saldo
arsi, lasso, al giel freddo, alsi al ciel caldo.