Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/284

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79.Que’ ramoscelli poi, che da la vita
procedon lá dov’è di Marte il trono,
si conformano a queste, e la partita
voglion pur dinotar, di cui ragiono.
Fuor de la patria una furtiva uscita,
fughe ed essilii espressi entro vi sono,
e di paterni beni e di retaggi
perdite gravi, e poveri viaggi.

80.Tacer anco non deggio, e ’l dirò pure,
quelle croci colá picciole e spesse,
che con infauste e tragiche figure
su la mensa vegg’io sparse ed impresse:
non son fuor che travagli e che sciagure,
strazii e dolor significati in esse,
e disegnano un cumulo d’affanni
a punto in su ’l fiorir de’ piú verd’anni.

81.E per venire ad un parlar distinto,
dico, per quanto il mio saver n’attigne,
che fosti in ceppi ed in catene avinto
sol per cagion di temine maligne;
perché veggio di stelle un labirinto
che la linea del core intorno cigne,
e veggio la mensal, che ’n due disgiunta
verso l’indice e ’l mezo i rami appunta.

82.Strega malvagia, anzi internai Megera,
perché degli occhi tuoi molto invaghissi,
d’una prigion caliginosa e nera
vivo ti sepell sotto gli abissi.
Ma quel penoso carcere non era
il cordoglio maggior che tu sentissi.
Sol con la gelosia fuor di speranza
t’affiigea del tuo Sol la lontananza.