Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/292

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111.Onde per tòrgli da la mente ogni ombra,
in tai detti a la lingua il nodo ha sciolto:
— Adone occhio mio caro, omai deh sgombra
tutte dal cor le tenebre, e dal volto.
Qual gran pensier quella bellezza ingombra,
che di me stessa ogni pensier m’ha tolto?
per cui non curo il Ciel, né piú mi cale
de la beatitudine immortale?

112.Sprezzo per te la mia celeste reggia,
tu sei solo mio Ciel, mio Paradiso,
che s’una stella nel mio Ciel lampeggia,
due piú chiare ne gira il tuo bel viso.
E qualor ne le rose, onde rosseggia
la purpurea tua guancia, il guardo affiso,
e come (oimè) non sospirar poss’io,
se scorgo nel tuo volto il sangue mio?

113.Or se la vista sol de la tua faccia
è d’ogni mio desir bersaglio e meta,
rasserenarla omai tanto ti piaccia
ch’io la possa mirar contenta e lieta.
E perché ’l gioco i rei pensier discaccia,
e d’ogni anima trista il duolo acqueta,
per desviar da l’altre cure il core
vo’ che ’nsieme giocando inganniam l’ore.

114.Se lieve pila in singoiar steccato
con curva rete in mano ami colpire,
o se di cavo faggio il braccio armato
vuoi globo d’aure gravido ferire:
se stretto in fra le pugna il maglio astato
batter palla con palla hai pur desire,
o se ti fía gittando i punti a grado
far le corna guizzar del mobil dado: