Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/301

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147.Tacito va tra sé volgendo spesso
mortai essizio a la Reina bianca.
Giá poi che ’l destro Arciero egli l’ha messo
celatamente appo la costa manca,
malguardato pedon le spinge appresso,
poi traendo un sospir, si batte l’anca
quasi pentito, e con astuti modi
fingendo error, dissimula le frodi.

148.Tosto ch’offrir l’occasion si scorge,
pensa Vener nel crin prender la Sorte:
corre ingorda a la preda, e non s’accorge
che scopre il fianco a la reai consorte.
Al nemico pedon, ch’oltre si sporge,
va giá per dar col suo pedon la morte,
quando di tanto mal pietoso il figlio
cenno le fece, e l’avertl col ciglio.

149.Sostiene allor la mano e ’l colpo arresta
la Dea, che ’l gran periglio aperto mira,
e ’l pedon, che pur dianzi ardita e presta
cacciava innanzi, a suo squadron ritira.
L’Araldo degli Dei querulo in questa
di gridi empie il teatro e freme d’ira.
Conquistata l’Amazone e delusa
sua ragion chiama, e Citherea si scusa:

150.— Chi nega — dice — al giocator, che mossa
la destra errante a trascurato tratto,
in meglio poi correggerla non possa,
se noi vieta tra noi legge, né patto?
Or che da tanto rischio io l’ho riscossa,
decreto inviolabile sia fatto:
qual fia de l’un de’ duo tocco primiero,
quello a forza ne vada, o bianco o nero. —