Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/310

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183.Giudice fatta poi de la disputa,
pria del cieco fanciullo ode l’accusa,
che dice esser la verga a lui devuta,
e ch’a torto pagar l’altro ricusa.
Ella, che sa de l’altro ogni arte astuta,
intender vuol da lui come si scusa
e perché nega al figlio il caduceo,
che dee di chi l’ha vinto esser trofeo.

184.— Quand’io pur or non vi conchiuda — ei disse —
ch’a nessun di voi duo la palma tocca,
s’a mio favor ne le presenti risse
la sentenza non vien di vostra bocca,
se Giove istesso, ancor che ’n Ciel l’udisse,
non dirá tal querela ingiusta e sciocca,
mio sará il danno, e la ragion ch’io porto
vo’ confessar che sia calunnia e torto. —

185.— Stiamo pur ad udire, io vo’ por mente —
sorridendo rispose il nudo Arciero —
se co’ sofismi tuoi, ben ch’eloquente,
saprai darne a veder bianco per nero. —
— Da’ miei detti — ei soggiunse — apertamente
fia conosciuto e manifesto il vero;
e perch’altro che ’l ver non v’abbia loco,
non vo’ partir de la ragion del gioco.

186.Del gioco la ragion vuole e richiede,
ed al dever del giocator s’aspetta,
ch’altri prenda a giocar quel che possiede,
e che ’l suo, non l’altrui nel campo metta.
Qualora il gioco in altro stil procede,
l’usanza del giocar non è perfetta.
Tanto meno a chi gioca è poi concesso
giocarsi quel de l’aversario istesso!