Pagina:Marino, Giambattista – Adone, Vol. II, 1977 – BEIC 1871053.djvu/312

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191.Ecco, che ’nsomma o dichiarar bisogna
ch’egli vinto non è, com’io ragiono,
o d’inganno accusarti, e di menzogna,
se fu da scherzo, e non da senno il dono.
Ed io (quando ciò fusse) avrei vergogna
d’amar chi mi scherní, qualunque io sono,
perché non dee leal amante, ch’arda
di vero amore, amar donna bugiarda. —

192.— Quest’argomento è debile e fallace —
ripiglia Amor — né tua ragion difende.
Ciò si tacque al principio, e quei che tace
tacitamente acconsentir s’intende. —
— Io son d’Adone, ed esser sua mi piace,
sovra questo tra noi non si contende —
disse la Dea —: quand’io pur fussi sciolta,
vorrei farmi soggetta un’altra volta.

193.Ma com’è pur tra giocatori usanza
quando manca talor l’oro e l’argento,
che l’un l’altro del suo danno in prestanza
e supplisce la fede al mancamento,
se bene in me di me nulla m’avanza,
di prestarmi a me stessa ei fu contento,
e ’l mio stato servii, mentre che tacque,
a giocar seco abilitar gli piacque. —

194.E ’l divin messo a lei: — Non mancan mai
a restio pagator scuse e parole.
Ma conceder ti vo’ (come tu ’l fai)
l’uso che ’n gioco essercitar si suole.
Finito il gioco, or qual refugio avrai?
Quanto prestato fu, render si vòle.
Rendi te stessa al tuo cortese amante,
e cosí sarai sua com’eri avante. —